La città di Tropea entra nella prestigiosa guida “I Borghi più belli del Mediterraneo”curata da Claudio Bacilieri ed edita da Rubettino
Nel segno del mito. Una brezza di vento si insinua nelle “vinee” le viuzze del centro storico, fa sbattere le tende frangisole a righe scure, amplifica le voci della strada e porta le fragranze del basilico e del rosmarino, gli odori di pesce fritto e di peperoni arrostiti. Dalle terrazze di Tropea i tramonti rosso fuoco sembrano eruttatati dalla bocca dello Stromboli. Sfuma nell’indistinto della sera il violetto delle buganvillee che di giorno accende le vinee, è un’ombra scura scende sul “Corallone”, il gruppo di case posto sulla rupe in fondo a corso Umberto I, chiamato “il borgo di sotto”. L’odore delle vecchie case, il profilo seghettato dell’araucaria, il tuono bianco che fa il mare sbattendo sulla roccia: Tropea è una continua emozione. Il mito ne attribuisce la fondazione a Ercole, di ritorno dalle famose colonne che segnavano i confini del mondo conosciuto.
Qui l’eroe vide l’approdo sicuro offerto da quella rupe ovoidale Che si spinge nel Mediterraneo come una minuscola penisola abbracciata da due grossi scogli. Su questo promontorio di tufo, dice la leggenda fondò la città chiamandola Tropea-nutrice in greco-in onore di Giunone Giunone, la sua nutrice. Tropea fu romana e cristiana, ma la prima fonte storica riguarda la presenza del generale Belisario nell’anno 535, l’inizio della dominazione bizantina. Lungo il filo delle generazioni, dalla roccia a picco sul mare gli abitanti sfruttarono l’orizzonte con il timone di veder apparire le navi saracene. Solo dal secondo quarto dell’XI secolo gli arabi non costituiscono più minaccia: i nuovi padroni sono ora i normanni, che nel punto più alto della città in alzarono la cattedrale, imponendo il passaggio dal rito greco a quello latino. Rimaneggiata più volte nel corso nel corso del tempo, stravolto all’interno dal ridondante gusto barocco, la cattedrale conserva nella sua fiancata sinistra i modi dell’architettura normanna siciliana.
Il potere normanno si sfalda e nel 1186 gli subentra L’autorità sveva, poi quella angioina, infine la città si concede agli aragonesi, con i quali entra subito in sintonia. Nell’età spagnola Tropea contribuisce all’allestimento della flotta della lega cristiana che avrebbe vinto i turchi a Lepanto. Nel Cinquecento acquista fama con il con i fratelli Vianeo, antesignani della rinoplastica : Esisteva in città un ospedale, Istituto da una nobildonna, i cui in cui i due chirurghi applicavano la loro tecniche di ricostruzione dei nasi feriti in battaglia. Dopo il terremoto del 1783 Tropea e tra le poche città calabresi a conservare il vecchio impianto urbanistico, con i vicoli i vicoli della città murata e piccoli slarghi che si aprono tra le abitazioni. L’icona di Tropea è la chiesa di Santa Maria dell’isola, posta come una corona su una rupe che emerge dal mare e che forse, prima di diventare monastero benedettino, era un luogo di culto bizantino dove si officiava il rito greco. Da qui è bello, in estate tornare in città portandosi dietro il profumo del mare, e vagare per il centro storico alla ricerca di angoli nascosti punti.
Ammiriamo i portali di granito o di tufo delle dimore patrizie come palazzo Braghò, le ringhiere dei sei e settecento a petto d’oca, il portale bugnato appunta di diamante del settecento palazzo Collareto e quello di palazzo Tocco; infondo a Piazza Ercole troviamo l’austero edificio seicentesco che ospitava il Sedile della Nobiltà. Ci sono stradine e slarchi che, solo a percorrerli, suscitano meraviglie: via Boiano, via Dardano, via Lauro, Largo Galuppi, Largo Guglielmini, Largo Municipio esibiscono portali di magnificenza barocca, finestre con spalliera di pietra, balaustre sorrette da mensoloni, chiese di sorprendente interesse come quella dei Liguorini. Ci si immagina la laboriosità degli abitanti di questi vicoli, come via dei Fabbri, dove si producevano fucili e rivoltelle. Tropea era anche la seta delle filande sparse nei suoi casali e le coperte “Impennacchiate” dei telai casalinghi, oltre ai frutti dell’agricoltura come la celebre cipolla rossa, lo zibibbo e l’ulivella. Dal mare non arrivano più i preziosi coralli, ma è tutta la città, ora, a farsi diamante nel vento della sera.
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